La plastica: pericoloso rifiuto o inesauribile risorsa?

Materiali
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15/01/2020

Ne siamo circondati, c’è anche dove pensiamo non ci sia.
Se provassimo, con l’immaginazione, ad eliminare le parti in plastica da tutti gli oggetti e dispositivi che ci circondano, sarebbero ben poche le cose ancora in grado di funzionare.

È talmente presente nella società moderna che sembra esserci sempre stata, esattamente come la pietra, il ferro e il legno.

Tutti ne parlano. Ma cosa sappiamo realmente della plastica?


(tempo di lettura: 12min 30s)

Perché quest'articolo?

Ho sentito il bisogno di mettere insieme tutte le informazioni raccolte nel corso della mia attività di designer industriale su questo argomento.
Ho verificato le informazioni su più  fonti e sono andato alla ricerca di quello che ancora non sapevo, specialmente sulle origini e la storia di questo materiale così straordinario e discusso.

Sono convinto che conoscere le caratteristiche tecniche della plastica sia importante, ma che lo sia altrettanto conoscerne la storia e le qualità intrinseche. Per questo ho voluto condividerle con te, con l'obiettivo di non farci stordire e influenzare dalla montagna di informazioni, quasi sempre contraddittorie, che ci arrivano sull'argomento dai vari Media.

Che cos'è la plastica


La plastica è una materia che non esiste in natura.
È un materiale artificiale creato dall’uomo a partire dal primi anni del XIX° secolo mescolando materiali organici naturali, come la cellulosa, il carbone, il gas naturale, il sale e naturalmente il petrolio greggio raffinato.

Perchè si chiama plastica

Deriva dal greco “plassein” che significa ”plasmare”, “formare”, “modellare” e allude alla capacità di un materiale di subire deformazioni permanenti e/o di assumere la forma data.

L’uomo nel corso dei secoli ha ampiamente impiegato materiali plastici naturali come ad esempio la creta e l’argilla, perché erano facili da modellare per ottenere un’infinità di oggetti che una volta asciutti o cotti diventavano  rigidi, fissandone in maniera definitiva la forma.



Una, nessuna, centomila

Il termine plastica è generico e per certi versi sbagliato perché non esiste “la plastica”, ma piuttosto le materie plastiche.
Esistono infatti una cinquantina di tipologie di materie plastiche che si differenziano per caratteristiche tecniche, resistenza e finiture e molto probabilmente altre se ne aggiungeranno in futuro.

Hanno spesso nomi complicatissimi, quasi impossibili da pronunciare, nomi che di per sè non ci direbbero nulla se non fosse per i loro acronimi o nomi commerciali.

Facciamo qualche esempio:

  • Acrilonitrile Butadiene Stirene
  • Polietilentereftalato
  • Cloruro di Polivinile
  • Polimetilmetacrilato

non sono altro che:

  • ABS
  • PET
  • PVC
  • PLEXIGLASS

Sigle e nomi piuttosto familiari e di cui sentiamo continuamente parlare, che leggiamo un po’ ovunque, sulle etichette al supermercato, sul fondo di bottiglie e vaschette o sul retro delle scocche (in plastica) di elettrodomestici e dispositivi elettronici.

Come detto, le materie plastiche sono tante, ma si suddividono in sole tre grandi famiglie, in funzione delle loro caratteristiche e di come reagiscono al calore:

MATERIALI TERMOPLASTICI

Se riscaldati rammolliscono acquisendo malleabilità, che ne permette la modellazione attraverso stampi o presse e una volta raffreddati tornano ad acquisire rigidità mantenendo la forma data.

Questo processo (riscaldamento, modellazione e raffreddamento) può essere ripetuto diverse volte in funzione della qualità della materia prima utilizzata.

Per semplificare il concetto basta pensare al formaggio, che plastica non è (anche se in alcuni casi il dubbio ci potrebbe venire…), ma si comporta esattamente come un materiale termoplastico.

Si presenta sotto forma solida, ma se scaldato tende a sciogliersi diventando liquido, una volta raffreddato ritorna solido ed è possibile ripetere il processo (teoricamente) all’infinito.

Tra i materiali termoplastici più noti ricordiamo:

  • Polietilene (PE)
  • Polietilentereftalato (PET)
  • Polipropilene (PP)

MATERIALI TERMOINDURENTI

Se riscaldati e compressi rammolliscono e successivamente induriscono mantenendo la forma data.
Questo processo non può essere ripetuto, se riscaldati nuovamente questi materiali tendono a decomporsi e carbonizzarsi.

Il tuorlo dell’uovo si comporta come un materiale termoindurente, quando lo butti nel tegame è liquido, ma una volta scaldato si rapprende diventando solido.
A quel punto, una volta raffreddato, lo puoi scaldare fino a bruciarlo ma non ritornerà mai allo stato liquido iniziale.

I due materiali termoindurenti più noti sono:

  • Poliuretano (PU)
  • Teflon (PTFE)

ELASTOMERI

Questi materiali plastici possono essere sia termoplastici che termoindurenti e sono caratterizzati da una elevata deformabilità ed elasticità che in molti casi si traduce in un aumento della loro resistenza meccanica.

Sono elastomeri:

  • Poliisoprene (ovvero la gomma naturale)
  • Policrolopropene (noto con il nome commerciale di Neoprene)

Riciclo (quasi) perfetto


Una delle caratteristiche dei prodotti realizzati in materiale plastico è la possibilità di poterli riconvertire in materia prima, generando così un ciclo virtuoso che di fatto non produce rifiuti.

Il sistema più diffuso di riciclo del materiale plastico prevede il trasporto dei rifiuti, proveniente dalla raccolta differenziata, all’interno di appositi impianti.

Qui vengono selezionati e controllati per togliere eventuali corpi estranei, lavati per eliminare anche la più piccola impurità e infine suddivisi per tipologie di materia plastica.

Il materiale viene quindi triturato e rigenerato sotto forma di granuli, confezionato in sacchi per poi essere redistribuito all’industria per produrre nuovi oggetti, oppure essere rigenerato sotto forma di pellicole sottili in rotoli per il confezionamento del cibo.

Le materie plastiche rigenerate si possono suddividere in:

MATERIA PRIMA SECONDARIA (MPS)
Quando si mescolano materie plastiche dello stesso tipo.

In questo caso le caratteristiche tecniche e chimiche del riciclato sono molto simili alla materia prima originale (vergine).
Le Materie Plastiche Secondarie trovano vasto impiego nella realizzazione di manufatti per l’edilizia (tubi, interruttori, canalinine), nell’arredamento (componenti per sedie e mobili), nell’automotive (vari componenti stampati), nell’agricoltura (tubi per l’irrigazione e vasi) e negli imballaggi (cassette e flaconi per detersivi, pallet).

PLASTICA RICICLATA ETEROGENEA
Quando si mescolano differenti tipologie di materie plastiche.

In questo caso il materiale ha caratteristiche diverse rispetto ad una materia prima vergine e per questo viene impiegato nella produzione di panchine, parchi giochi, recinzioni, arredi urbani e cartellonistica stradale, contesti nei quali non sono richieste specifiche caratteristiche tecniche ed estetiche (colori e texture).

Anche il colosso svedese IKEA, sempre attento all'ecosostenibilità dei suoi prodotti, ha prodotto la sedia ODGER, composta da plastica riciclata e trucioli di legno, dove la finitura irregolare del materiale diventa un plus e non un difetto (vedi immagine).



Questo processo é unico nel suo genere, perchè nessun’altra materia prima, anche di origine naturale, può essere riciclata così facilmente in termini di energia  consumata e conseguente impatto ambientale.

La plastica fonde a circa 150°C, il vetro a 1.500°C, il che significa che solo in questa fase del processo di riciclo, il vetro necessita di un consumo energetico 10 volte maggiore rispetto alle materie plastiche.

Va ricordato a tal proposito che l’industria  utilizza prevalentemente combustibili fossili per produrre calore, immettendo in atmosfera enormi quantità di anidride carbonica (CO2), responsabile dei cambiamenti climatici, e di particolato PM10, le famigerate polveri sottili altamente dannose per la salute umana.



Ma allora perchè “la plastica” è vista come una minaccia per l’ambiente e per la salute dell’uomo, considerata un rifiuto e non una risorsa come potrebbe e dovrebbe essere?

Secondo i dati forniti da COREPLA (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica) attualmente in Italia la situazione è questa:

43,5% - plastica riciclata e trasformata in nuovi oggetti
40,0% - plastica che finisce nei termovalorizzatori per la produzione di energia
16,5% - plastica che va in discarica, viene bruciata all’aperto o finisce nell’ambiente

Già questi dati potrebbero essere una risposta alla domanda, ma c’è di peggio, perché l’Italia è un paese virtuoso per quanto riguarda il riciclo delle materie plastiche.

Secondo un recente rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel mondo la situazione è questa:

15% - plastica riciclata e trasformata in nuovi oggetti
25% - plastica che finisce nei termovalorizzatori per la produzione di energia
60% - plastica che va in discarica, viene bruciata all’aperto o finisce nell’ambiente

Colpa dei paesi del terzo mondo? Negli Stati Uniti solo il 10% della plastica viene riciclata!

La storia

È difficile raccontare la storia della “plastica” perché, seppur considerata da sempre sinonimo di modernità, parte da molto più lontano di quanto ci si possa immaginare.
Una vera e propria epopea, fatta di storie e persone, intuizioni e colpi di genio, aneddoti curiosi e tante scoperte casuali!

Le plastiche si sono evolute nel corso degli anni diversificandosi e diventando presto una famiglia molto numerosa.
Ci sono però delle materie plastiche che, per caratteristiche tecniche e qualità intrinseche, si sono imposte sulle altre e su queste vale la pena soffermarsi, iniziando da quella che viene considerata come il primo materiale plastico semisintetico mai prodotto dall'uomo.

La vera “plastica sapiens” delle materie plastiche.

La "plastica sapiens" - In principio fu la XYLONITE


Nel 1856 Sir Alexander PARKES, un inventore e chimico inglese, crea e brevetta il primo materiale plastico semisintetico, una sostanza ottenuta lavorando a pressione il nitrato di cellulosa a cui dà il suo nome, la Parkesine, che però successivamente diventa nota come Xylonite.

In occasione della Grande Esposizione di Londra del 1862, expo internazionale nel quale vengono presentati al pubblico tutti i ritrovati dell’industria e della tecnologia, Parkes espone una serie di minuscoli oggetti realizzati con questo innovativo materiale.

Negli anni seguenti sarà utilizzato per la produzione di manici e scatole e di manufatti flessibili come i polsini e i colletti delle camice.

CELLULOIDE, l’amica degli elefanti



Nel 1863 un’azienda di New York offrì un premio di 10 mila dollari (quasi 190 mila dollari attuali) a chi avesse inventato un materiale economico che potesse sostituire l’avorio, materiale molto usato con cui venivano prodotte, fra le altre cose, anche le palle da biliardo, gioco che in quel periodo era diventato di gran moda.

La lavorazione e produzione dell’avorio era estremamente costosa in termini di denaro e, nonostante lo spirito animalista non fosse all’epoca sentito come ai giorni nostri, c’era comunque una crescente preoccupazione dell’opinione pubblica sul destino dei poveri elefanti cacciati e massacrati in modo indiscriminato dai cacciatori di avorio.

L’inventore statunitense John Wesley HYAT si mise al lavoro iniziando una serie di esperimenti con il nuovo materiale inventato pochi anni prima da Parkes e nel 1869 brevettò un nuovo materiale artificiale composto da canfora (una cera naturale), da azoto e cellulosa. Era nata la Celluloide.

Negli anni che seguirono il materiale fu perfezionato numerose volte, risolvendo il problema della sua eccessiva infiammabilità, che lo rendeva inadatto ad essere lavorato con tecniche di stampaggio ad alta temperatura.

Il nuovo materiale, una volta reso più ignifugo, soppiantò in breve tempo l’avorio nella costruzione delle palle da biliardo (gli elefanti tirarono un sospiro di sollievo…) trovando subito innumerevoli e originali applicazioni.

Fu impiegato dai dentisti per fare le impronte dentarie, ma anche per rinforzare e impermeabilizzare fusoliere e ali dei primi aeroplani, solo per fare alcuni esempi.

La vera svolta arrivò nel 1889 quando la KODAK  utilizzò la celluloide per produrre le pellicole fotografiche  e cinematografiche.

Ancora oggi il nome di questo materiale è indissolubilmente legato al cinema quando si parla di "stelle della celluloide" o del "magico mondo della celluloide"!

BACHELITE, la madre di tutte le plastiche


Nel 1905 il chimico statunitense di origine belga Leo BAEKELAND, mentre cerca di creare un surrogato della gommalacca (una resina naturale), mescola il fenolo, un derivato del benzene, con la formaldeide ottenendo una materia plastica di colore scuro.

Casualmente aveva inventato la prima resina TERMOINDURENTE di origine sintetica, ossia ottenuta senza l’utilizzo di sostanze naturali, un materiale che, una volta fuso, raffreddato in uno stampo e indurito, non poteva più essere riscaldato né rimodellato.

Brevettato nel 1910 con il nome di Bachelite il nuovo materiale ha un successo travolgente grazie a caratteristiche tecniche nettamente superiori alla celluloide.

La bachelite era leggera e robusta, un ottimo isolante termico ed elettrico, non infiammabile e resistente alle alte temperature e agli agenti chimici e poteva essere colorata e lucidata.

Utilizzata soprattutto in polvere, mescolata con coloranti e riempitivi (residui di legno e tessuto) poteva essere pressata a caldo per produrre elettrodomestici, giocattoli, scatole, gioielli, lampade, cruscotti di automobile, prese e interruttori di corrente, telefoni, radio, le bocce per vari giochi e perfino le punte delle stecche da biliardo (ancora lui…).
La produzione di oggetti in bachelite fu intensa e copiosa fino agli anni ’50 quando fu soppiantata dall’avvento di nuove materie plastiche.

Per tutto questo la bachelite è considerata la prima vera plastica moderna, la madre di tutte le plastiche.

PVC, la plastica che suona


Il cloruro di polivinile, noto anche con la sigla PVC, fu scoperto casualmente nel 1835 dal chimico francese Henri Victor REGNAULT, che trovò una massa bianca solida all’interno di una bottiglia di cloruro di vinile dopo essere rimasta esposta alla luce solare.
Per anni si tentò inutilmente di sfruttare commercialmente il prodotto perché questo risultava troppo rigido e fragile per poter essere lavorato.
Solo nel 1926 l’inventore americano Waldo SEMON della B.F. Goodrich, azienda statunitense produttrice di pneumatici, riuscì a sviluppare una tecnica che rendeva il PVC più flessibile e quindi più facile da lavorare miscelandolo con degli additivi plastificanti.

Il PVC raggiunse presto una grande diffusione trovando molte applicazioni.
Poteva essere modellato per stampaggio a caldo nelle forme desiderate, estruso, calandrato, oppure ridotto a liquido per essere spalmato su varie superfici.

Raccordi e tubazioni per l’edilizia, rivestimento di cavi elettrici, profili per serramenti, pavimenti vinilici, indumenti e manti di copertura, sono solo alcune delle applicazioni in ambito industriale.
Il PVC è la materia plastica più versatile conosciuta.
È anche il “vinile” per antonomasia, quello usato per la produzione dei dischi.

PLEXIGLASS, la plastica trasparente

Nel 1933 il chimico e imprenditore tedesco Otto RÖHM lancia sul mercato un prodotto straordinario il Polimetimetacrilato, derivato dal petrolio, il cui complicatissimo nome è noto solo agli addetti ai lavori, ma é universalmente conosciuto a tutti con uno dei suoi nomi commerciali: il Plexiglass.

Più trasparente del vetro, infrangibile e modellabile per riscaldamento (termoformatura) a temperature relativamente basse, ha permesso incredibili innovazioni tecnologiche sostituendo di fatto il vetro nei più disparati settori, perché più leggero, sicuro ed economico.

Prodotto in lastre per estrusione o per colatura è molto utilizzato nella fabbricazione di vetri di sicurezza, nell’oggettistica d’arredamento o architettura in genere.

Tra le possibili applicazioni ci sono i fanali posteriori delle automobili, le barriere di protezione negli stadi, le pareti degli acquari, mentre uno dei maggiori mercati è il settore bagno dove viene impiegato per la realizzazione di vasche da bagno e piatti doccia.

È stato usato nella produzione dei DVD e grazie al suo ottimo grado di biocompatibilità con i tessuti umani anche nella produzione di lenti per la cura della cataratta.

POLIURETANO, la plastica morbida

La scoperta del Poliuretano è attribuita al tedesco Otto BAYER che nel 1937, mentre cerca di produrre una fibra che possa competere con il nylon ottiene questo nuovo materiale.

All’inizio degli anni quaranta viene brevettato il primo processo per la produzione della schiuma poliuretanica che trova immediato impiego nel settore dell’edilizia dove, la sua fluidità e facilità d’impiego, la rendono adatta a tamponare e isolare strutture e murature.

Negli anni successivi sviluppi ulteriori permisero la produzione di poliuretani con caratteristiche migliorate, che ne permisero l’utilizzo nel settore degli elementi d’arredo imbottiti, come poltrone e divani, sostituendo di fatto l’uso delle tradizionali imbottiture.

Le  caratteristiche  principali di questo materiale sono l’elasticità e la resilienza (capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi), requisiti che lo rendono capace di sopportare notevoli deformazioni sotto sforzo, ritornando sempre alle dimensioni e alla forma originale.

La struttura microcellulare del poliuretano inoltre, permettono il ricambio d’aria e la dispersione dell’umidità, impedendo di fatto il proliferare di acari e batteri e di conseguenza l’insorgere di allergie dannose alla salute umana.

Questa caratteristica rende il materiale anallergico e igienicamente sicuro e adatto quindi ad applicazioni che prevedono il contatto con parti del corpo umano, come gli imbottiti per l’arredamento, gli interni delle automobili, gli articoli sportivi e la produzione di materassi e guanciali.

I poliuretani possono essere prodotti sotto svariate forme: come schiume espanse rigide, semirigide e flessibili, come rivestimenti e vernici, come adesivi e sigillanti, sotto forma di granuli, fibre, etc…

NYLON, la plastica della moda


Il primo a creare questa nuova resina sintetica della famiglia dei Poliammidi (PA) fu il chimico statunitense Wallace CAROTHERS nel 1935 in un laboratorio della DUPONT.
Commercializzato nel 1938 con il nome commerciale di Nylon ha avuto nel dopoguerra enorme diffusione e molteplici impieghi, in particolare sotto forma di fibra tessile.

Ci sono tante versioni sull’origine del nome Nylon e alcune sono vere e proprie leggende metropolitane.
Una tra le più curiose sostiene che una volta entrati in guerra con il Giappone questo impedì agli Stati Uniti l’importazione di seta dalla Cina, materiale fondamentale nella costruzione dei paracaduti per i soldati.
La risposta americana fu la creazione di un nuovo materiale sostitutivo a cui venne dato il nome di N.Y.L.O.N. acronimo di “Now You Lose Old Nippon”, ovvero, “così ti ho fregato vecchio Giappone".

La fibra di Nylon rispetto alle fibre naturali presenta notevoli vantaggi:

  • una maggiore resistenza all’usura
  • non viene attaccata dalle tarme
  • resiste alle muffe, ai batteri e agli insetti
  • non produce allergie
  • è leggera
  • non si restringe durante il lavaggio
  • si asciuga in fretta e non ha bisogno di stiratura

Ci sono varie tipologie di Nylon che si differenziano per composizione chimica e caratteristiche tecniche, alcuni sono più adatti allo stampaggio ad iniezione, altri alla trafilatura o alla termoformatura e si distinguono industrialmente dal numero che segue il nome.

I primi ad essere prodotti - il Nylon 6 e il Nylon 6,6 - sono tuttora quelli più diffusi insieme al Nylon 11 e il Nylon 12 che trovano grande applicazione in svariati campi industriali e in particolare in quei settori dove è richiesta una grande resistenza all'usura ed un elevato recupero elastico.

Il suo nome è indissolubilmente legato alle calze da donna (collant), ma viene utilizzato sotto forma di fibra per produrre costumi da bagno, abbigliamento sportivo, biancheria intima, borse, ombrelli e fodere.

Il Nylon a più alta tenacità è usato per costruire le carcasse degli pneumatici, reti da pesca, corde, tessuti per paracadute, nastri trasportatori, cuscinetti, pulegge, cinghie di trasmissione, cinture di sicurezza per automobili, copertoni impermeabili, manicotti antincendio, serbatoi gonfiabili, capannoni ad aria (palloni), ecc.

Il Nylon viene prodotto generalmente sotto forma di filo continuo o polvere (nella prototipazione rapida tramite sinterizzazione laser) e le sue caratteristiche meccaniche possono essere ulteriormente migliorate con l'aggiunta di fibre di vetro o di carbonio.

POLIETILENE, la plastica POP

Il Polietilene (PE) è stato scoperto accidentalmente dal chimico tedesco Hans von PECHMANN nel 1898, ma si è dovuto attendere il 1939 per poter iniziare la sua produzione industriale.
Venne impiegato subito in campo bellico, in particolare nelle tecnologie collegate al radar per le sue impareggiabili qualità di isolante elettrico.

Terminato il conflitto ben presto ci si rese conto di quanto versatile fosse questo nuovo materiale che, ulteriormente perfezionato nel corso degli anni, divenne il più semplice e il più comune fra le materie plastiche.

Leggero e versatile, estremamente economico, possiede un’elevata resistenza agli agenti chimici, non assorbe l’acqua o liquidi e per le sue proprietà di atossicità è largamente impiegato nel settore alimentare.
Utilizzato in vari ambiti, trova maggiori applicazioni come isolante per i cavi elettrici, borse e buste di plastica, contenitori per l’industria alimentare, casalinghi e tubazioni.

Oggi il POLIETILENE è la materia plastica più presente nella nostra vita quotidiana, se si pensa che costituisce il  40% del volume totale della produzione mondiale di materie plastiche. Una vera POP star!

POLIPROPILENE, la plastica "italiana"


L’ingegnere italiano Giulio NATTA era un tipo geniale e con i piedi ben piantati per terra.
A 16 anni aveva già un diploma, a 21 una laurea, collezionando oltre 4 mila brevetti nel corso della sua carriera.
Per uno di questi, ricevette il premio nobel per la Chimica a Stoccolma: il Polipropilene Isotattico, e cioè la plastica con cui è fatta la maggior parte degli utensili che abbiamo in casa, dallo scolapaste alle bacinelle, ai mattoncini della LEGO e chi più ne ha più ne metta.

Un materiale plastico con proprietà straordinarie che divenne noto al grande pubblico con il nome commerciale di MOPLEN.
Giulio Natta lo mise a punto nei primi anni ’50 in collaborazione con il chimico tedesco Karl Waldemar ZIEGLER.
Il premio Nobel arrivò nel 1963.

Solo un anno prima la produzione di MOPLEN aveva raggiunto le 250 mila tonnellate l’anno e la RAI trasmetteva il Carosello con il tormentone di Gino BRAMIERI:  “e mo... e mo…MOPLEN!”

Il polipropilene oggi è un materiale molto versatile, che trova un largo impiego nella produzione di contenitori per l’industria alimentare, dei tappi delle bottiglie o per utensili e casalinghi.

Viene utilizzato anche come materiale di imballaggio, per produrre sacchi, funi, spaghi e tappeti.

Persino i cruscotti delle automobili, le etichette delle bottiglie, attrezzature di laboratorio, reti antigrandine, custodie per i CD, siringhe monouso, pannelli fonoassorbenti, filo per suture chirurgiche e molti altri oggetti possono essere realizzati in polipropilene.

Può essere prodotto anche in fibre per applicazioni nell’industria tessile, nella fabbricazione di tappeti, tappezzerie, coperte, abbigliamento intimo e tecnico-sportivo, ma anche per opere ingegneristiche o per produrre pannolini e bustine da tè.

La plastica e il design

Non è un caso se il boom del design in Italia negli anni tra il ’50 e il ’70 coincide con quello delle materie plastiche.

Il basso costo e la serialità produttiva, uniti all’estrema duttilità del materiale, consentono sperimentazioni inedite nelle forme e nei colori, ma soprattutto aprono la strada all’arrivo del “design democratico”.

La plastica irrompe nel quotidiano e nell’immaginario di milioni di persone, nelle cucine, nei salotti, permettendo a tutti di accedere a prodotti e servizi un tempo riservati a pochi, semplificando la vita e i gesti quotidiani, colorando le case, rivoluzionando abitudini e contribuendo a creare lo stile di vita moderno.
Nasce il mito del Made in Italy.

È in Italia che industria e arte si fondono per creare icone di stile ancora oggi desiderate, da Kartell a Danese ad Artemide a Zanotta e Olivetti, solo per citarne alcune.
Queste aziende capiscono le potenzialità del materiale, credono nell’innovazione e nel valore aggiunto dato dal design.

Da collaborazioni con designer, diventati poi anche loro icone insieme ai loro progetti, come Gio PONTI, Gae AULENTI, Ettore SOTTSASS, Marco ZANUSO, Achille e Piergiacomo CASTIGLIONI, nascono oggetti e complementi d’arredo senza tempo, capaci di raccontare un’epoca e una rivoluzione, ma anche stupire e divertire con una perfetta fusione fra funzionalità e qualità estetica.

Un esempio fra tanti: la sedia "4867" disegnata da Joe COLOMBO per Kartell nel 1967 (vedi immagine).



Gemelle diverse

Per il designer industriale la plastica è una materia magica con la quale dare libera espressione all'immaginazione.

Mi capita spesso di progettare prodotti costruiti interamente con materiali plastici diversi.

Un esempio è la maschera sportiva, dedicata allo sci e al motocross, che ho progettato per   KAYAK di Luciano Bianchin.




Tanti pregi e un solo difetto

Il più grande difetto della plastica? Avere molti pregi e un solo difetto.

Può sembrare un paradosso ma non lo è.

Come abbiamo potuto constatare, la plastica è un materiale camaleontico e polivalente, perché può assumere le caratteristiche e le qualità di qualsiasi materiale.
Può essere robusta, leggera, sottile, rigida, elastica, gommosa, profumata, colorata, ignifuga, isolante, impermeabile, soffice, trasparente e altro ancora.
Può essere stampata, modellata, piegata, fusa e spalmata, e assumere qualsiasi forma si possa immaginare.

E' riciclabile, eco-sostenibile, ma soprattutto... eco-nomica.

Questo è il suo difetto!

Costasse come l'oro, la volontà e gli sforzi per riciclarla non sarebbero un problema a nessuna latitudine. Nelle discariche, nei fiumi e nei mari non ci sarebbe un sacchetto, un copertone o una maledetta cannuccia. 

Usiamo "la plastica" con rispetto e buon senso, trattiamola come una risorsa e non come un rifiuto, senza sprechi ed eccessi, esattamente come dovremmo fare con l’acqua, il cibo e tutte le risorse naturali da cui attingiamo.


Se vi fa piacere contattatemi qui o date un'occhiata al sito per ulteriori info sulla mia figura professionale.

Al prossimo articolo, ciao!

Luca